Finalmente, il tenore di vita è tornato al livello del 2007. Con 7 anni d’anticipo

“Gli italiani sono finalmente tornati nel 2023 in prossimità (manca qualche decimale) dello standard di vita – Pil pro capite in volume – che avevano 16 anni prima, nel 2007. A ben vedere, ogni elemento di questa notizia ha del clamoroso. Lo ha il fatto che prima della pandemia, nel 2019, il Pil per abitante fosse ancora sotto (-5% circa) al livello del 2007. Si era avuta una ripresa dopo il 2013, ma insufficiente a recuperare la caduta del tenore di vita indotta dalle forti e ravvicinate recessioni del 2008 e 2011. L’Italia era così l’unica economia, insieme all’annichilita Grecia, a non aver recuperato i livelli di vita di prima della crisi. Alla luce di quella performance, è poi clamorosa la veloce risalita degli anni post-pandemia”.

Lo spiega l’economista Sergio De Nardis, dalle colonne del magazine digitale InPiù.net

“L’accelerazione ha più che compensato il crollo del 2020, dando luogo a un aumento del Pil pro-capite tra il 2019 e il 2023 del 4,8%, contro un calo in Germania (-1%) e sostanziali stasi in Francia e Spagna (la Grecia, talvolta esaltata per la più rapida ripresa, resta del 15% sotto il 2007). Certo, la positiva evoluzione italiana è una media con un’ampia varianza, come mostra anche l’allargamento dell’area della povertà. Tuttavia, per l’economia nel suo insieme il risultato è evidente.

Ha infine del clamoroso l’azzeramento del gap col lontanissimo 2007. Una giustificazione, però, c’è: l’aggancio “col passato” è avvenuto prima del previsto. Con quanto anticipo? Un modo per verificarlo è guardare alle previsioni che si facevano nella primavera del 2021, prima cioè che si conoscessero i migliori trend. Ebbene, per le previsioni del Fmi dell’aprile di quell’anno l’Italia avrebbe recuperato il Pil pro capite del 2007 nel 2030: l’anticipo sarebbe, quindi, di 7 anni.

Nel favorire un simile cambio di passo, per di più controcorrente rispetto all’Europa, sembra arduo non vedervi un ruolo delle politiche fiscali dopo il 2019. Esse hanno preservato l’apparato produttivo nella pandemia e spinto la ripresa negli anni seguenti. E‘, tuttavia, incerta la stima su quanto abbiano inciso. Anche perché tra quelle politiche ampio spazio è occupato dal Superbonus. Una misura mal disegnata che ha squilibrato i conti del paese, ma il cui impatto sull’economia è lungi dall’essere individuato. Occorre ora guardare in prospettiva. La domanda cruciale è se, con l’inevitabile esaurimento di quelle misure, il nostro standard medio di vita tornerà a frenare. Un rischio c’è, ma vi sono anche alcune considerazioni che fanno ben sperare.

La prima riguarda la spesa del Pnrr: il grosso entra in azione proprio quando vengono meno i sostegni fiscali. La seconda è la ristrutturazione degli immobili che è divenuta un obbligo europeo: andrà ancora perseguita con sussidi meglio congegnati e meno costosi. L’ultima, più di fondo, è suggerita dall’esperienza dell’Italia nei grami anni della depressione. Un’economia dove la congiuntura rimane debole per molto tempo va incontro al deterioramento della crescita potenziale, perché non si fanno gli investimenti soprattutto tecnologici, le persone a lungo disoccupate perdono abilità, le imprese migliori non possono contribuire adeguatamente all’efficienza complessiva, la nascita di quelle più dinamiche viene limitata. È quanto avvenuto da noi in quegli anni. La speranza per l’oggi è, dunque, evidente: tutti quegli effetti distruttivi del potenziale, dopo il 2019, non si sono avuti, si è verificato anzi il contrario”.

Fonte: www.ripartelitalia.it